Il ciclo di hype

Tempo fa ci capitò di partecipare a una gara per ottenere un progetto abbastanza importante. Cercammo di esaminare con cura la questione, vagliammo le tecnologie disponibili e alla fine creammo una proposta basata su un misto di conoscenze personali, istinto e buon senso. Ci aspettavamo che la nostra proposta sarebbe stata vagliata da un consulente tecnico del potenziale cliente, e che magari i dirigenti dell’azienda ci rivolgessero qualche domanda sui soliti temi: costi, tempi, eventuali problemi collaterali, quanta formazione sarebbe stata richiesta. Ci stupì molto quando ci dissero che, prima di tutto, il progetto sarebbe stato controllato da consulenti esperti in valutazioni di mercato ad ampio spettro, attraverso sistemi come il ciclo di hype.

In quel momento perdemmo qualche anno di vita per lo spavento: noi non ne sapevamo niente, non ci era venuto in mente che la nostra idea potesse essere controllata con sistemi simili. Passammo alcuni giorni a controllare la mail finché, per fortuna, arrivò la comunicazione che i consulenti erano d’accordo. Noi però, come sempre, abbiamo iniziato a farci domande, a porci problemi e a studiare.

Sapevamo, ovviamente, cosa fosse il ciclo di hype ma, fino a quel momento, era sempre rimasta una di quelle teorie da multinazionale americana e da guru del marketing, una di quelle di cui leggi negli articoli di settore. Tutto assumeva una nuova luce ora che questa teoria si era manifestata concretamente, addirittura minacciando di mettersi tra noi e il cliente.

Di che si tratta?

Detta in poche parole, si tratta di una teoria elaborata dall’enorme società americana di consulenza Gartner, per valutare lo stato in cui si trova una certa tecnologia in un dato momento. Semplificando davvero molto è la formalizzazione attraverso strumenti statistici di qualcosa che il nostro buon senso può intuire in modo grossolano, e cioè i meccanismi con cui una nuova tecnologia impatta, esplode, si raffredda e infine si integra nel mercato.

Una scoperta tecnologica, diciamo informatica, fa la sua comparsa: è la prima fase. La novità e le sue implicazioni (ancora tutte potenziali) affascinano il mondo, provocando una ventata di interesse e finanziamenti: è la seconda fase, in cui questa tecnologia viene rivoltata come un calzino e rivela, inevitabilmente, tutta la sua immaturità e i suoi lati deboli.

A questo punto l’interesse svanisce, alcune imprese che ci avevano puntato troppo falliscono e solo alcune, per le quali gli iniziali miglioramenti di questa tecnologia sono stati sufficienti, sopravvivono. E’ la terza fase. Subito dopo, quarta fase, arriva la lucidità. Ora l’effetto della fascinazione iniziale si è esaurito e le compagnie riflettono a mente fredda su come questa tecnologia possa avvantaggiare chi. Nascono tecnologie e prodotti derivati e si sperimenta in varie direzioni.

Infine, quinta fase, la tecnologia si assesta nel mercato. Le sue caratteristiche sono note così come i pregi e i difetti. Magari diventerà uno standard, magari conquisterà una nicchia stabile.

Va sempre così?

No. Perché nessuno prevede il futuro e non esistono ricette magiche per sapere in anticipo il destino di un’innovazione.

Teniamo presente questo: in 2001: Odissea nello spazio furono immaginate, con una certa precisione, come sarebbero state le stazioni spaziali e che i computer avrebbero previsto una comunicazione vocale con gli utenti, ma non i telefoni cellulari.

Gli autori che diedero vita alla letteratura cyberpunk immaginarono un futuro in cui tra uomo e tecnologia sarebbero cadute molte barriere, in cui la genetica e la rete avrebbero avuto un ruolo cruciale; ma il loro era anche un mondo pieno di cavi, perché nessuno aveva pensato al Wi-Fi.

I famosi cigni neri esistono da sempre. Tuttavia non è neanche sbagliato fare il possibile e servirsi di buoni strumenti per ridurre i rischi e leggere più lucidamente possibile il mercato.

Informatici e aziende dovrebbero conoscere certi argomenti?

Vedere quali informatici decidono di interessarsi anche a queste materie è un buon modo di individuare quelli che faranno più strada. Anche in questo caso non è una regola ma è un’approssimazione ragionevole. Per quanto conoscere il ciclo di hype, il quadrante magico o altre teorie simili non apporti alcun vantaggio all’attività di programmazione, è certo che permettono di avere una visione più chiara delle tecnologie in cui scegliamo di formarci e che proporremo ai clienti. Inoltre studiare queste teorie aiuta a non cadere nella trappola della simpatia personale, a non diventare dei fan di un certo prodotto rischiando di non saperne riconoscere correttamente i limiti.

Per le imprese vale un ragionamento equivalente: chi non studia il mercato rischia di sprofondare nella sedia, adagiandosi sulle proprie consuetudini perché ormai sono note. Verissimo, anche la comodità ha un valore, ma c’è il rischio concreto di vedersi superare e addirittura schiacciare da chi invece riesce a cavalcare l’onda giusta.

Per noi, da quel momento, informarci su canali affidabili e leggere dichiarazioni o altro materiale rilasciato da realtà come Gartner divenne un’abitudine. Ricordo che arrivammo prima di molti a interessarci e formarci su blockchain, big data e sistemi NoSQL, e fu una differenza che ci permise di ottenere buoni lavori e crescere.

In conclusione

La pratica di informarci e tenerci aggiornati è necessaria e assolutamente irrinunciabile ma poi, a un certo punto, occorre decidere su cosa puntare. Affidarsi solo al gusto personale e al buon senso non è funzionale e, se esistono strumenti utili, dovremmo farne buon uso.

Serve a noi, per offrire il miglior servizio possibile e ottenere maggior reputazione e guadagno; e serve alle aziende per minimizzare il rischio di perdere treni importanti, visto che alcune tecnologie impattano su ambiti cruciali come la sicurezza o la possibilità di accedere a nuovi modelli di business.

Lo avevamo già accennato in un precedente articolo: Jaewa crede in un modello di formazione più omnicomprensivo rispetto a quello su cui troppo spesso si basano istituti e università. Riteniamo che un informatico debba completarsi imparando una serie di buone pratiche e di nozioni collaterali che, inutile negarlo, diventano necessarie nel mondo del lavoro. I corsi di formazione a cui stiamo lavorando saranno basati proprio su questo approccio.