Il colloquio di lavoro

Quando sappiamo di dover parlare per la prima volta con un candidato, ci torna in mente il Tenente Colombo, che magari non sapeva niente di informatica ma di tante altre cose sì. Ci torneremo tra poco.

Negli ultimi tempi abbiamo fatto molti colloqui con possibili nuove entrate nel team Jaewa, ne stiamo ancora facendo, in verità. Riceviamo candidature di vario genere, alcune molto stringate e amichevoli, altre più formali. Quello, per noi, non è mai un problema: è difficile per chiunque mettersi in contatto con una persona o un’azienda che non si conosce, e non abbiamo mai giudicato nessuno per un approccio goffo. Tra l’altro, non credo che sapremmo fare di meglio.

I colloqui di lavoro, di reclutamento, ci hanno insegnato molto. E’ un momento delicato in cui a partire da un numero necessariamente limitato di informazioni si deve decidere se investire o meno su una persona, e a lungo termine.

Ci sono due elementi qui da considerare, entrambi importantissimi: il primo è la valutazione curricolare, le abilità che il candidato dice di possedere e la sua esperienza misurabile in progetti realizzati, incarichi precedenti e titoli di studio; la seconda è il suo carattere, l’attitudine a far parte di una squadra, l’iniziativa personale ma, soprattutto, la sua sintonia con un certo tipo di visione del lavoro.

Già a questo punto iniziamo a vedere l’ombra del Tenente Colombo profilarsi in fondo alla stanza: è un lavoro di indagine cortese, quello che dobbiamo fare, senza puntare lampade da scrivania in faccia a nessuno e senza poliziotti buoni o cattivi. Anzi. Per far emergere gli elementi più importanti è bene che tutti si sentano a proprio agio, tanto noi quanto i candidati. Ma non è per questo che citavamo il grande maestro in impermeabile e sigaro.

Uno dei problemi che più spesso ci si presentano è il filtro che quasi tutti i candidati tendono a mettere tra loro e noi. Un filtro sullo stile di quelli di Instagram, per apparire al meglio e magari anche un po’ più di quel che si è in verità. Certe volte, lo vediamo chiaramente, è un meccanismo privo di malizia: semplicemente le persone cercano di darsi un tono e di apparire professionali per rispondere a quelle che immaginano siano le nostre aspettative. Altre volte invece è intenzionale: il candidato sa di avere una certa lacuna ma non vuole che la vediamo, e quindi finge, mente o tenta di aggirare l’ostacolo.

Ecco, c’è una puntata del Tenente Colombo in cui lui si confronta con l’assassino che ha appena inchiodato. Questi è stupito di ritrovarsi con le manette ai polsi e chiede a Colombo come abbia fatto a scoprirlo. L’investigatore gli risponde che tra loro c’è un naturale divario di esperienza: l’assassino aveva ucciso per la prima volta mentre lui ha molti anni d’indagine sulle spalle. Per quanto intelligente, brillante e scaltro possa essere il criminale, è estremamente improbabile che sia più esperto di quanto Colombo lo sia nell’investigazione.

Adesso chiariamo questo punto: a noi, come credo valga per chiunque faccia reclutamento nel mondo del lavoro, non piace fare gli ispettori. Non piace dover indagare, dover cercare di leggere tra le righe e magari mettere alla prova il candidato per controllare che quello che dice corrisponda al vero. Però è necessario, perché non conosciamo la persona seduta all’altro lato del tavolo.

Il consiglio che diamo a chi deve sostenere un colloquio o volesse candidarsi è da prendere con le pinze ma pensiamo possa essere valido per quando ci si presenta alla maggior parte delle giovani aziende del nostro settore e, senz’altro, vale per Jaewa: cercate di essere naturali. Mostrateci il vostro meglio, ovviamente, ma non abbiate timore a mostrare anche le vostre lacune.

Nelle aziende informatiche l’aggiornamento e l’apprendimento sono processi costanti. Il nostro settore cambia di continuo, con tecnologie che nascono, si trasformano e muoiono quasi ogni giorno. Lacune e mancanze vanno bene, l’importante è la passione e la volontà per superarle ogni volta.

In effetti c’è un’altra metafora che ci piace, una specie di motto che recita: il punto non è se la cintura nera sa mettere a terra la cintura bianca, il punto è se la cintura nera sa riconoscere la cintura bianca che diventerà nera a sua volta.

A noi interessa quello: al di là degli artifici e delle naturali difficoltà della prima impressione, capire se ci sono le potenzialità per far fiorire il talento.