La percezione dell’informatico e il problema dei preventivi

Terza legge di Clarke: “Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.”

L’informatica è, per molti clienti, sufficientemente avanzata.

Non ci stiamo dichiarando apprendisti stregoni, quindi facciamo un passo indietro.

Tutti siamo stati clienti di qualcuno e, quando siamo nelle vesti del cliente, spesso non ci interessa come la persona di fronte a noi risolverà il nostro problema purché lo faccia. Vogliamo un buon servizio, lo vogliamo in fretta e preferibilmente vorremmo non doverci mai più preoccupare della difficoltà che ci ha fatto alzare il telefono. E’ con questo spirito, spesso, che leggiamo il preventivo; e allora possiamo distinguere due scenari. In un primo caso abbiamo un’idea, magari anche vaga, di quanto lavoro ci sia dietro a ciò che abbiamo chiesto e tendiamo a non sorprenderci né dei tempi né dei costi. Nel secondo caso invece no, non abbiamo la minima idea di quanto difficili siano le operazioni richieste. Pensate alla differenza tra un muratore e un fotografo. Nel primo caso abbiamo, generalmente, una vaga esperienza di come si svolga il suo lavoro, dello sforzo e delle competenze necessarie (pur non avendole noi in prima persona). Nel secondo caso no, non sia ha un’idea chiara di luci, teli, ombrelli e gelatine, ed è facile rimanere stupiti dalla cifra sul preventivo.

Questo problema ce l’ha anche l’informatico (un po’ è pure colpa sua, ma ci torneremo a breve) e crea una difficoltà con il cliente che può diventare seria e che spesso culmina nel preventivo.

Quando si riceve l’incarico di creare un prodotto per risolvere un determinato problema si dovrebbe, in teoria, dire con una certa precisione quanto verrà a costare e quanto tempo ci vorrà. Insomma, il preventivo. Non è una questione banale né solo finanziaria: ci va di mezzo la trasparenza, la chiarezza, il rapporto anche umano con il cliente. Tutti fattori che partecipano alla buona riuscita del lavoro.

Un problema di percezione

“Indistinguibile dalla magia”. Più o meno. A cosa porta questa percezione distorta? A una serie di preconcetti e falsi miti che possiamo ridurre a due problemi principali:

L’informatico sa tutto di informatica.

Non è vero. Forse un tempo, quando il mondo era giovane e fuori era tutta campagna. Ci sono stati giorni in cui era possibile per l’informatico sapere tutto perché “tutto” era poco. Oggi però ci sono troppe branche, troppi linguaggi, troppi ambiti e specializzazioni diverse. Oggi l’informatica è un po’ come la medicina, dove non chiederesti mai all’oculista di operarti al cuore. Eppure, proprio come spesso accade ai medici, anche noi soffriamo dell’equivoco per cui se sei un informatico sai tutto quanto, sai come progettare il gestionale di un’azienda ma anche come spiare la mail del vicino di casa.

L’informatica è facile e quindi anche economica

Certo, come no… Però è anche normale che i non addetti lo pensino. Agli occhi di chi non conosce il nostro ambiente, il mondo appare come un grande parco giochi a base di prodotti informatici: motori di ricerca, applicazioni, enormi ecosistemi gratuiti o comunque molto economici (spesso poche decine di euro al mese) che permettono di fare qualsiasi cosa, dal gioco al montaggio video professionale. E poi ci sono gli strumenti precompilati, dove l’acronimo d’ordine è UX: ottimo cibo precotto sempre a disposizione, sempre più facile da cucinare e da mescolare con altri cibi pronti.

Anche se in fondo lo sanno tutti, che è una questione di modelli di business e che quelle aziende hanno trovato un sentiero laterale per darti prodotti gratis e comunque fatturare cifre enormi, si pianta comunque in testa la concezione che certe funzionalità dovrebbero costare poco o nulla. Il cliente rischia di scoprire che non funziona così nel momento peggiore, cioè quando si ritrova tra le mani il preventivo.

E qui però torniamo alla questione della responsabilità degli informatici, la nostra. Al netto di virtuose eccezioni potremmo dire che, al pari di altre categorie, anche la nostra raramente si sforza per divulgare se stessa, per spiegarsi, per farsi comprendere da chi non possiede le competenze. Il risultato è che l’informatica resta “sufficientemente avanzata” agli occhi dei non addetti, i quali restano senza punti di riferimento per capire che c’è differenza tra chi mette insieme pezzi di codice preesistenti e servizi gratuiti, e chi invece scrive da zero una soluzione informatica che prima non esisteva.

Quali sono gli effetti?

La sorpresa di fronte al preventivo. Inutile girarci troppo intorno. Il problema è che prima o poi arriva il cliente con un’esigenza per cui non esiste un prodotto da scaffale, un servizio con cui basta stipulare un abbonamento mensile. Molte aziende, soprattutto se crescono, prima o poi hanno bisogno di strumenti personalizzati sul loro flusso di lavoro, sui loro prodotti, sulle necessità dei loro clienti.

Per essere ancora più chiari: un prodotto informatico risulterà tanto più costoso quanto più alto sarà il livello di personalizzazione richiesta. Un software su misura (per il quale cioè non è possibile poggiarsi su tecnologie esistenti) richiede molto lavoro e quindi un budget maggiore. E’ come spostarsi da un arredamento di stampo industriale a uno fatto apposta per noi da un falegname.

Esistono certamente casi in cui la soluzione più adatta è adottare un prodotto esistente, altri in cui è necessario apportare ad esso un grado variabile di personalizzazione; a volte però è necessaria una soluzione interamente personalizzata. Pur coprendo tutto il ventaglio di casi, è in quest’ultima eventualità che l’informatico dà il meglio di sé, ed è anche lì che sorge un problema: se ciò che stai creando non esisteva prima, su quali basi si può immaginare quanto costerà la sua realizzazione? Si può fare una stima basata sull’esperienza ma sarà, appunto, solo una stima.

Senza contare che anche la comunicazione stessa del problema non è banale: cliente e azienda appartengono a mondi diversi che stanno cercando di incontrarsi e qualche incomprensione è possibile. E’ un po’ come non sapere niente di automobili ma rendersi conto di aver bisogno di un veicolo: descriviamo al venditore quella che secondo noi è una Maserati e lui traduce tutto con “Panda”, o viceversa.

Molti dettagli diverranno chiari solo quando il progetto inizia a prendere una forma comprensibile per il cliente, e indurranno richieste di aggiunte o modifiche che, manco a dirlo, ricadranno sul preventivo.

Come si può porre rimedio?

Partiamo dal presupposto che fare un preventivo, soprattutto in informatica, costa lavoro. A volte anche molto. Per farlo in modo decente non basta una riunione e qualche diagramma disegnato su un foglio, si devono indagare le possibilità offerte dalle varie tecnologie a disposizione, capire quale potrebbe essere la migliore e, in pratica, già realizzare le prime fasi di progettazione. Quindi se il preventivo è gratuito (oggigiorno è quasi la prassi) si rischia anche di veder sfumare parecchie ore di impegno e ricerca.

Come la risolviamo? Ognuno alla fine trova la sua strada. Va da sé che non dire al cliente quanto costerà il lavoro è ingiusto anche nei suoi confronti. Nei suoi panni nessuno di noi accetterebbe quel grado di mistero. La nostra soluzione, ad oggi si basa su due punti.

Il primo è un approccio agile (in inglese). In pratica dividiamo il lavoro in fasi stabilendo delle finestre temporali e degli step facilmente misurabili e comprensibili. In questo modo possiamo avanzare a blocchi, confrontandoci con il cliente per essere costantemente ben allineati.

Se il progetto viene strutturato secondo tutte le buone pratiche del caso diventa più semplice anche tornare indietro, se serve, per ottimizzare il progetto in caso di ulteriori richieste.

Le difficoltà intrinseche di questo approccio (che comunque non lo rendono impossibile) sono stimare il prezzo complessivo e, soprattutto, organizzare il percorso in tappe che siano a un tempo consistenti e prudenti, cioè che diano la possibilità sia a noi che al cliente di supervisionare costantemente gli sviluppi e raggiungere il miglior risultato possibile.

Il secondo punto è la costanza e la puntualità nel rapporto con il cliente, che serve proprio a evitare che l’approccio agile diventi sinonimo di navigazione a vista. Individuare la strada più diretta ed evitare di lavorare a vuoto sono i punti essenziali a mantenere efficiente (e vantaggioso per tutti) il progetto.

E’ un sistema perfetto? Certamente no, ma al momento è quello che riteniamo più onesto e trasparente. Ci permette di avanzare con cautela, di mantenerci in linea con le esigenze del cliente e permette al cliente stesso di monitorare gli sviluppi del lavoro.

Conclusioni

Tutta questa situazione, questa percezione distorta del nostro ambiente è anche opera nostra, e crediamo che sarebbe utile adoperarci un po’ per porvi rimedio. A Jaewa abbiamo deciso di provare due strade: divulgazione e formazione.

Ci piacerebbe spiegare a chi sta fuori dal nostro mondo come lavoriamo e vorremmo che più persone possibile, in particolare i potenziali clienti, capissero perché esistano delle fasce di complessità (e prezzo) diverse e cosa ognuna di esse possa offrire.

In generale vorremmo che il mondo dell’informatica fosse conosciuto un po’ di più, con uno sguardo capace di passare oltre le immediate apparenze, anche perché ormai riveste un ruolo cruciale (in quasi ogni ambito) nella vita di tutti.

La seconda strada, la formazione, è forse la parte più importante: è necessario che i giovani aspiranti informatici ricevano una preparazione che copra anche questi argomenti. Se i problemi legati alla gestione del cliente ti piovono addosso all’improvviso nel momento in cui ce l’hai di fronte, tutto diventa difficilissimo e possono nascere situazioni tali da mettere in discussione perfino la tua professionalità. Nessuno qui pensa che un informatico debba diventare anche un abile commerciale (per quanto non possa nuocere) ma deve almeno essere consapevole di certe dinamiche perché, volenti o nolenti, dovranno essere affrontate e influiranno sulla serenità personale e sulla qualità del lavoro.